Breve commento alla sentenza n. 30039 emessa in data 13/05/2025, con motivazioni depositate l’1/09/2025, dalla Corte di Cassazione, Sez. IV Penale
- Redazione Legal Studio BSTC

- 17 ott
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La vicenda oggetto del giudizio sottoposto al vaglio della Suprema Corte trae origine da un infortunio mortale verificatosi in un cantiere aperto presso una Raffineria, nel quale ha perso la vita un dipendente della ditta esecutrice con mansioni di operario.
In questa sede si riportano soltanto alcuni aspetti della sentenza in commento, che – a parere di chi scrive – meritano rilievo.
1) Responsabilità delle società ai sensi del D.Lgs. 231/2001
La Corte d’Appello aveva confermato la pronuncia di primo grado riguardo alla responsabilità, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, delle società a vario titolo coinvolte nel cantiere.
La Corte di Cassazione, invece, con riferimento alla Società alla quale il Committente aveva affidato la gestione del piano di sicurezza, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, ritenendo l’argomentazione della Corte distrettuale che aveva individuato il “requisito dell’interesse” nell’ “assicurarsi e mantenere una commessa ricevuta da un Committente che si voleva compiacere”, soltanto apparente.
Più in particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che il mero “compiacere”, “privo di qualsiasi specificazione – concreta - circa la natura e l’entità dell’utilità perseguita, si risolve in una formula vuota e generica, inidonea a soddisfare l’esigenza probatoria che il requisito dell’interesse impone”.
Infatti, come più volte ribadito in giurisprudenza “in caso di violazioni occasionali occorre la prova dell’oggettiva prevalenza dell’esigenze della produzione e del profitto su quella della tutela della salute dei lavoratori quale conseguenza delle cautele omesse, nonché dell’effettivo ed apprezzabile vantaggio consistente nel risparmio di spesa o nella massimizzazione della produzione, che può derivare anche dall’omissione di una singola cautela e dalla conseguente riduzione dei tempo di lavorazioni (cfr. sent. n. 22256/2021, Cass. Pen.)”.
In relazione alla responsabilità della società Esecutrice, alla quale l’Affidataria aveva appaltato i lavori, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, in quanto la società aveva adottato un MOG – autodefinito - conforme alla certificazione BS OHSAS 18001 (oggi ISO 45001), e tale “circostanza doveva essere oggetto di una valutazione più approfondita alla luce della presunzione di conformità di cui all’art. 30 comma 5 D.Lgs. 81/2008”.
Più in particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che tale elemento, “pur non determinando automaticamente l’esenzione da responsabilità”, può essere superato esclusivamente attraverso una “compiuta dimostrazione dell’inadeguatezza sostanziale del sistema organizzativo adottato”.
Inoltre, la Corte territoriale aveva ritenuto inidoneo il MOG adottato dalla società, perché le procedure in esso contenute sarebbero state “generiche o di mero monito”, non contenendo “alcuna indicazione su come “ gli aspetti della sicurezza avrebbero dovuto “essere controllati”.
Ebbene, anche il relazione a tale aspetto, la Corte di Cassazione ha censurato la sentenza impugnata ritenendo che il MOG “per sua natura e struttura, non può e non deve scendere nel dettaglio operativo specifico, ma deve limitarsi a delineare i principi, le procedure generali ed i flussi informativi necessari per prevenire la commissione di reati. La specificità operativa è demandata ai documenti di valutazione dei rischi, alle istruzioni operative e alle procedure tecniche di dettaglio, che costituiscono strumenti distinti e complementari rispetto al modello organizzativo.
Il modello organizzativo ex D.Lgs. 231/2001 ha una funzione di governance e di controllo dei processi decisionali, non di dettaglio tecnico-operativo.
Le procedure ivi contenute devono necessariamente avere un carattere generale e sistematico, poiché la loro funzione è quella di assicurare che le decisioni operative vengano assunte secondo criteri di legalità e nel rispetto dei flussi informativi e di controllo predefiniti.”
2) Responsabilità del figure della Sicurezza nei Cantieri Temporanei e Mobili, in particolare: Committente, Responsabile dei Lavori (RdL) nominato dal Committente, “project leader” del Committente, Coordinatore della Sicurezza in fase di Esecuzione (CSE) e assistente del CSE
Con riferimento alla figura del Committente, la difesa aveva contestato la sua ritenuta responsabilità, nonostante la valida nomina del Responsabile dei Lavori, e l’assenza di concrete ingerenze nella gestione della sicurezza del cantiere.
La Corte, dopo aver ripercorso i contorni della responsabilità del Committente, e delle condizioni a cui è ricollegabile l’efficacia liberatoria, ai sensi dell’art. 93 D.Lgs. 81/2008, connessa alla nomina del Responsabile dei Lavori, non solo ha ribadito il principio secondo cui “l’esenzione del Committente dalle responsabilità si verifica solo a seguito della nomina del Responsabile dei Lavori e nei limiti dell’incarico conferitogli”, ma ha aggiunto che alla nomina del RdL “si deve imprescindibilmente accompagnare un atto di delega con il quale si attribuiscano poteri decisionali, cui sono connessi evidenti oneri di spesa o, più in generale, la determinazione della sfera di competenza attribuitagli”.
Con tale “aggiunta” la Corte sembra riferirsi implicitamente alla delega di funzioni di cui all’art. 16 T.U. Sicurezza; e infatti prosegue affermando che, in presenza di una siffatta nomina e delega, “sul Responsabile dei Lavori gravano tutte le funzioni proprie del Datore di Lavoro in materia di sicurezza”.
Inoltre, sempre con riferimento alla figura del Committente, la Suprema Corte, dopo aver ripercorso le indicazioni fornite dalla giurisprudenza per l’accertamento della sua eventuale corresponsabilità (i.e. l’ingerenza dello stesso nell’organizzazione o nell’esecuzione dei lavori, ovvero la sua conoscenza di situazioni di pericolo immediatamente e agevolmente percepibili), ha precisato che non possono essere qualificate come “ingerenze”:
- “comportamenti che rientrano nella normale attività di vigilanza residuale dei Committenti”;
- “attività meramente gestionali”;
- “la mera partecipazione alle riunioni di coordinamento…o di sicurezza in generale”;
- “la sottoscrizione del Permesso di Lavoro”.
In relazione alla figura del Responsabile per la Gestione dei Progetti, c.d. “project leader”, del Committente, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte distrettuale abbia errato nel fondare la responsabilità dello stesso “sul mero svolgimento di un ruolo nell’ambito dell’appalto, equiparando genericamente la sua posizione a quella del Committente”, senza “individuare una specifica fonte di obblighi penalmente rilevanti…non essendo stata individuata la fonte normativa della stessa, e non verificati gli effettivi poteri impeditivi”.
Alla luce dei principi sinteticamente sin qui riportati, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza impugnata in relazione alle posizioni del Committente e del “project leader”: ciò ha comportato un’identica statuizione sulla responsabilità dell’Ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001.
Con riferimento, infine, alle figure del Coordinatore della Sicurezza in fase di Esecuzione (CSE) e, in particolare alla figura dell’assistente del CSE, la Suprema Corte dopo aver richiamato il principio, ormai consolidato in giurisprudenza, secondo cui il CSE riveste una posizione di garanzia caratterizzata da “alta vigilanza” sul cantiere, e che le sue funzioni, avendo carattere personale e fiduciario, sono indelegabili, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata in relazione alla posizione dell’assistente del CSE, “in ragione dell’impossibilità di configurare posizioni di garanzia penalmente rilevanti”.
Più in particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto sussistente la responsabilità dell’assistente del CSE, applicando “oltre i suoi limiti normativi” l’art. 299 (“Esercizio di fatto di poteri direttivi”) T.U. Sicurezza.
A tal riguardo, la Suprema Corte ha ritenuto che l’art. 299 “richiede l’esercizio di poteri giuridici, non la mera partecipazione ad attività tecniche”; e, nel caso di specie, l’assistente del CSE, pur avendo partecipato a sopralluoghi e assistito a riunioni, non “risulta aver mai esercitato in concreto i poteri del CSE”, né dispone di “effettivi poteri connessi al ruolo di CSE, di capacità decisionale autonoma sulle misure di sicurezza, né di poteri sanzionatori o di sospensione dei lavori”.
La Suprema Corte, richiamando l’art. 92, comma 2 T.U. Sicurezza rubricato “Obblighi del coordinatore per l’esecuzione dei lavori”, ha ritenuto insussistenti i presupposti della responsabilità dell’assistente del CSE sul rilievo che l’imputato avesse svolto mere attività tecniche di supporto, prive di autonomia decisionale, mentre l’art. 299 T.U. sicurezza richiede “l’esercizio in concreto di poteri giuridici” e non la semplice partecipazione a riunioni o sopralluoghi.
3) Vizi conseguenti alla mancata estromissione delle parti civili
Alcune difese avevano eccepito l’illegittima permanenza degli eredi della vittima, poiché erano stati integralmente risarciti in forza di un accordo transattivo - intervenuto soltanto con alcuni degli imputati – nel quale gli stessi avevano dichiarato di “accettare l’importo a saldo e stralcio di ogni pretesa risarcitoria”, e di “non vantare più alcuna pretesa”.
Di tale intervenuto accordo transattivo non erano stati posti al corrente gli altri imputati, e le parti civili non ne avevano fatto menzione nel corso del processo che, di conseguenza, ed a parere delle difese, sarebbe stato viziato da una nullità di carattere generale ai sensi dell’art. 178 lett. c) c.p.p.
La Suprema Corte, nel decidere sul punto, ha ripreso un risalente principio giurisprudenziale secondo cui “il mancato accertamento delle condizioni per l’esclusione della parte civile non è presidiato da alcuna sanzione processuale (cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 9811 del 13/05/1987, rv. 176651- 01; Sez. 5, n. 10528 del 21/10/1983, Rv. 161599-01)”.
Inoltre, con specifico riferimento al contenuto dell’accordo transattivo, la Suprema Corte l’ha ritenuto di carattere parziale, essendo intervenuto soltanto con alcuni imputati e non con tutti, e pertanto inidoneo ad estendere i propri effetti agli altri condebitori. Di conseguenza, solo il “Giudice Civile potrà valutare” se, ed in quale misura, l’importo oggetto di transazione possa ritenersi integralmente satisfattivo del diritto all’integrale risarcimento del danno delle parti civili.
A parere di chi scrive, la Suprema Corte con la sentenza in commento ha apportato importanti e utili chiarimenti in tema di efficacia esimente dei Modelli ai sensi del D.Lgs. 231/2001, oltre che sul perimetro delle responsabilità delle figure chiamate a garantire la sicurezza nei Cantieri Temporanei e Mobili.
Si allega sentenza n. 30039, Corte di Cassazione, IV Sez., ud. 13/05/2025, dep. 01/09/2025.





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