ASSOLTO IL DATORE DI LAVORO PER L’INFORTUNIO OCCORSO AL DIPENDENTE
- Redazione Legal Studio BSTC
- 16 mag
- Tempo di lettura: 4 min
Assolto il datore di lavoro per l’infortunio occorso al dipendente, in ragione dell’insussistenza del nesso causale tra la violazione posta in essere dal datore di lavoro, certamente sussistente e sanzionata in via amministrativa, e il concreto evento verificatosi, frutto di un diverso e ulteriore fattore di rischio

Con la recente sentenza n. 904/2024, il Tribunale di Pavia ha assolto il Datore di Lavoro dal reato di lesioni personali gravi colpose di cui all’art. 590 c.p., in relazione ad un infortunio occorso a un lavoratore subordinato.
Più in particolare, il lavoratore “durante le operazioni di manutenzione con utilizzo di cannello ossiacetilenico, subiva l’esplosione del tubo afferente l’ossigeno dalla bombola al cannello ossiacetilenico”, che aveva generato “una fiamma” che investiva il lavoratore “all’avambraccio destro”.
Il Datore di Lavoro era stato tratto a giudizio per aver cagionato per colpa “lesioni personali gravi costituite in ustione di primo e secondo grado”, perché non avrebbe provveduto “a fornire al lavoratore DPI con caratteristiche idonee alla protezione del rischio di ustione a cui risultava esposto il lavoratore così come previsto dall'art. 77, comma 3 del D.Lgs. 81/08 (già sanzionato in data 07.01.2022 per la predetta violazione in ambito di sicurezza sul lavoro)”.
Gli avvocati Paolo Tosoni e Giuseppina Cimmarusti, dopo aver:
richiesto l’interrogatorio del Datore di Lavoro;
depositato il DVR nel quale venivano espressamente individuati i rischi e le misure da adottare in caso di utilizzo di saldatrice ossiacetilenica;
depositato la documentazione relativa alla corretta formazione impartita al lavoratore infortunato;
depositato le videoriprese delle telecamere di sorveglianza dalle quali emergeva come il dipendente infortunato:
all’atto delle operazioni con il cannello ossiacetilenico, avesse utilizzato un accendino per accendersi una sigaretta e fumarla, nonostante l’espresso divieto aziendale;
non avesse provveduto a spegnere il cannello tra un taglio e l’altro, provocando un aumento di temperatura della lancia sufficiente ad innescare il processo di combustione dei vapori, nonostante l’espresso divieto in tal senso;
depositato i verbali di informazioni assunte da alcuni dipendenti che, poco prima dell’inizio dell’attività lavorativa in questione, avevano visto l’infortunato utilizzare una sostanza lubrificante, nella specie Svitol, per facilitare l’inserimento del tubo in gomma dell’ossigeno all’interno della lancia, nonostante l’ulteriore espresso divieto;
depositato Relazione di Consulenza Tecnica dalla quale emergeva come la causa dell’esplosione e, dunque, delle lesioni, fosse da ricondursi alla accensione di vapori di sostanze infiammabili (Svitol) impropriamente immessi dall’infortunato all’interno del tubo di adduzione dell’ossigeno, con innesco determinato dal riscaldamento della lancia – dovuto all’altrettanto improprio mancato spegnimento da parte dell’infortunato del cannello tra il primo e il secondo taglio - al di sopra della temperatura di autoaccensione di tali vapori in ossigeno puro;
hanno richiesto la celebrazione del giudizio mediante il rito abbreviato.
Ebbene, all’esito della discussione, il Tribunale di Pavia ha assolto il Datore di Lavoro ai sensi dell’art. 530 comma 2 c.p.p., con la formula “perché il fatto non sussiste” e, lo si precisa, nonostante l’imputato avesse provveduto ad adempiere alla prescrizione impartita da ATS, ed al pagamento della sanzione amministrativa relativa alla contravvenzione di cui all’art. 77 comma 3 D.Lgs. 81/2008 elevata da ATS, consistente nel non aver provveduto “a fornire al lavoratore infortunatosi DPI con caratteristiche idonee alla prevenzione dal rischio di ustione”.
Più in particolare, con la sentenza in esame, il Giudice ha escluso - almeno in via dubitativa - la sussistenza del nesso causale tra la violazione posta in essere dal Datore di Lavoro, certamente sussistente e sanzionata in via amministrativa, e il concreto evento verificatosi, frutto di un diverso e ulteriore fattore di rischio.
Si rinvia alla lettura integrale del testo delle motivazioni della sentenza in esame, nelle quali il Giudice, ritenendo innanzitutto di dover verificare “se il comportamento ipotizzato dal Pubblico Ministero come alternativo (ossia la fornitura di DPI idonei a contenere il rischio ustione; N.d.R.) avrebbe con certezza impedito l’evento lesivo”, si è soffermato sull’iter normativo, giurisprudenziale e dottrinale in materia di responsabilità del Datore di Lavoro, rilevando – innanzitutto – come il sistema della normativa antinfortunistica “si sia lentamente trasformato da un modello <iperprotettivo>, interamente incentrato sulla figura del Datore di Lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori ad un modello <collaborativo> in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori. Dal principio <dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore”, si è passati (…) al concetto di <area di rischio> che il Datore di Lavoro è chiamato a valutare in via preventiva”, dichiarandolo nel DVR.
Un ulteriore interessante iter argomentativo riportato nella sentenza in esame riguarda la funzione dell’art. 41 comma 2 c.p., all’esito del quale il Giudice rileva come “dall’esegesi del diritto positivo vigente” si evince come:
- “la disposizione contenuta nell’art. 41 cpv, impiegando al passato il tempo del verbo, suggerisce che relativamente ai fattori sopravvenuti che siano stati da soli sufficienti a determinare l’evento, il giudizio debba essere integrato da una valutazione ex post, inerente la congruità della situazione effettivamente realizzatasi rispetto al valore offensivo della condotta”;
- e come “l’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento si verifica quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta (…) alla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (…) ai rischi che il garante è tenuto a governare”.
All’esito di un iter motivazionale coerente e logico, il Giudice “traslando tali concetti nel caso in esame”, ha assolto il Datore di Lavoro ritenendo “la sequenza causale innestata dal comportamento del lavoratore (…) da sola sufficiente a determinare l’evento, avendo creato un’area di rischio autonoma e non prevedibile”.
La sentenza rappresenta un importante chiarimento in tema di valutazione degli obblighi di garanzia del datore di lavoro e della sua responsabilità penale, soprattutto in presenza di un’autonoma incidenza delle condotte colpose del lavoratore nella determinazione dell’evento dannoso.
Si allega:
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